Zeus: roba che scotta

Artisti   Metal  26 Luglio 2017   Nessun commento Zeus: roba che scotta

Ho visto gli Zeus, nello splendido scenario dell’Indigest festival di Castel san Pietro e ne sono rimasto folgorato, ritmi sincopati e metronomi bollenti ti danno la sensazione di essere travolti da un autotreno ovunque tu sia, non c’è spazio per l’interpretazione, gli Zeus! sono un pugno in faccia, un calcio a tutto…sono un petardo, che fanno dell’ esperienza diretta dei live il loro punto di forza.

Componenti: Luca Cavina (voce e basso), Paolo Mongardi (batteria)

Genere: Post hardocore

Fonti di ispirazione: metal

Anno di formazione: 2010

Colore della musica: fucsia fluo

NDR: Luca Cavina, bassista anche dei calibro 35 e di Beatrice Antolini e Paolo Mongardi batterista dei Fuzz Orchestra, Il Genio, Ronin ed ex Jennifer Gentle. Entrambi erano la parte ritmica dei Transgender, gruppo scioltosi dopo 3 album e un discreto seguito.
Hanno inciso l’ultimo album con la Three One G, etichetta di Justin Pearson che gli notati in apertura dei Rotex, band nel suo cast. Al momento sono il solo gruppo italiano ad aver mai firmato con la 31g.
Vi invito ad andarli a sentire appena possibile, un duo che riempie il palco ed i timpani in modo totale, 4 mani e 4 piedi e 1 voce che mai si risparmiano neanche per un istante in un mantra arcano, violento e tribale che alla lunga si rivela ipnotico.

1-Per voi cos’è la musica, cosa vi ha portato a farne la vostra vita ed un aggettivo per descriverla, la vostra.

L: È una forma di concentrazione, un modo di dare un senso e un ordine alle cose attraverso un’abilità che mi è congeniale. È un modo per vedere che dell’energia può essere convogliata in qualcosa di tangibile, che non c’è solo entropia. E quindi poi sto anche al mondo più volentieri. Se è diventata una fetta importante della mia vita è probabilmente per un criterio di selezione naturale: come calciatore, per esempio, ho perito all’età di nove anni, divorato dai leoni.
P: È un veicolo per esprimere ciò che attraverso altre forme di comunicazione non sono in grado di rappresentare. Per giunta è un linguaggio che tutt’ora non è completamente esplorato e che quindi porta con sé un attraente mistero. Per quanto mi riguarda, mentre suono, il ritmo e il suo pulsare sono i sintonizzatori che utilizzo per entrare in armonia con gli altri e quando questa armonia si genera, mi rendo conto una volta di più di quanto i simili si attraggono e di come tutto questo fa parte della vita, dunque anche della mia. Inoltre è anche un ottimo modo per fare esercizio fisico, mentale ed imparare tante cose come guidare, gestire alcolici, caffè, sigarette e via dicendo.

2-Avete definito le vostre composizioni “un Tetris con della violenza controllata come sottofondo”, siete sia modulari che distruttivi, cosa vi piace pensare di aver trasmesso al pubblico una volta spenti gli ampli?

L: La nostra musica ha scopi principalmente educativi, ma più di tutto ci piace che alla fine del concerto la gente pensi “che sborata!”.
P: Io spero rimanga un enigma corroborante.

3-Alla luce del vostro notevole background, produzioni con illustri etichette d’oltreoceano e un’intensissima attività live in tutta Europa, siete soddisfatti ad oggi della vostra identità musicale e del blasone raggiunto?

L: Sicuramente di soddisfazioni ce ne siamo tolte. Allo stesso tempo, aprendo concerti di band come Battles, Retox, Melt Banana, Dillinger Escape Plan ci siamo accorti che tutte le volte che suoniamo in contesti più grandi, quantitativamente parlando, ci sono un sacco di persone nuove che accorrono al banchetto dei nostri dischi e il cui feedback è sempre qualcosa che ha a che fare con la sorpresa, la curiosità, l’entusiasmo e le mandibole cascanti. Ci dicono cose a volte che imbarazzerebbero anche le persone meno modeste sulla faccia della terra. Tutto ciò solo per dire che potenzialmente potremmo raggiungere molte più persone, senza necessariamente cambiare una nota della musica che facciamo.
Del nostro percorso musicale siamo soddisfatti, perché credo abbiamo costruito negli anni un’identità riconoscibile, cercando al contempo di spostare il nostro limite un po’ più in là di volta in volta.
P: La soddisfazione c’è sotto tanti aspetti, c’è sicuramente gratificazione, non c’è autocompiacimento. Per fortuna rimane sempre un angolo scoperto che ci fa venire il prurito alle mani e ci spinge oltre.

4-Perchè i “Transgender” si sono sciolti?

L: Diciamo che una delle caratteristiche costitutive dei Transgender, ovvero il fatto di essere una fusione di stili molto diversi tra loro, ha portato anche alla sua dissoluzione come band. Ognuno di noi tirava da una parte diversa, difatti ciò che è accaduto naturalmente è che ognuno dei membri poi è andato ad approfondire musicalmente la direzione verso cui tendeva. Io e Paolo eravamo più “una cosa sola” come attitudine, probabilmente per una questione di ruolo in quanto sezione ritmica della band. E quindi forse non è un caso che siamo “andati via insieme”.
P: I Transgender sono stati un’esperienza molto importante alla quale devo tanto in termini di apertura mentale. Genuinamente, però, crescendo, si sono definiti caratteri e stili che ci hanno singolarmente indirizzato su strade personali. Ora che ci penso dovremmo fare una cena al prima o poi.

5-Conoscevate già i “Ruins” prima di avere l’idea di continuare come un duo?

L: Io no.
P: Nemmeno io e mi stupisco che in quasi nessuna recensione sia emersa questa analogia…

6-Chi ha avuto l’idea del video di “Grindmaster Flesh”? Credo vi rappresenti molto.

L: Paolo.
P: Era un po’ che mi frullava per la testa, ispirato un tantino dal video di “Sugar Water” delle Cibo Matto e un tantino da “Shake Hand With Beef” dei Primus… Grazie alle dimensioni adatte della nostra saletta e all’amico Foz, l’esperimento è fortunatamente riuscito al primo colpo. Culo

7-Musicalmente giocate molto col limite, ma il rapporto umano tra Luca e Paolo com’è? Vi sopportate serenamente?

L: Sicuramente in quindici anni insieme ci sono state dinamiche che in alcuni momenti hanno raggiunto fasi di logoramento e di crisi. Anche perchè, in modalità diverse, siamo due meticolosi testoni. La copertina di “Motomonotono” è un’ottima metafora. Devo dire però che ne siamo sempre usciti fuori bene e in particolare in questo periodo mi sembra che stiamo vivendo uno dei momenti più sereni della nostra umana convivenza. C’è stata volonta reciproca di smussare certi spigoli (non tutti ovviamente!) e di utilizzare più vaselina quando si è ritenuto potesse servire. Quindi bravi noi.
P: Diciamo che, imparando dai nostri errori, cerchiamo di tendere al valorizzarci piuttosto che al domarci; lo trovo un atteggiamento incoraggiante. Ovvio che relazionarsi su certe musiche ad alta carica mentale è pericoloso, sopratutto perché si trovano spesso in territori a noi inesplorati. La sindrome di Sandra e Raimondo comunque è sempre lì latente.

8-La vostra musica si pone qualche obiettivo? Se si quale?

L: Rimando alle risposte 1 e 2.
P: Personalmente – parlo in generale – l’obbiettivo, a volte utopico, è fornire una prospettiva diversa alle materia, contemporaneamente, cercare una sintonia il più larga possibile con chi ci ascolta e accedere ad un altro stato energetico…quello che ti fa vendere milioni di dischi per ottenerne in cambio uno di platino e far felice mamma.

9-Quanto vi da fastidio parlare della musica che fate? E ad oggi, il miglior live che ricordate e perché.

L: In realtà ci piace, dipende dal tempo che abbiamo a disposizione e dalle domande. Il fatto che tu non ci abbia chiesto il grande classico, “progetti futuri”, aiuta.
Non saprei però parlarti di un miglior live, perchè alla fine quando fai tanti concerti il metro di “migliore” svanisce nella marea di percezioni e immagini che la memoria selettiva trattiene. Tipo, ora mi viene in mente che una volta ho pestato una merda di cane appena prima di salire sul palco e ho dovuto suonare scalzo se no spargevo la merda su tutti i miei pedali. E’ stato anche un bel concerto, ma in quel caso l’elemento che rimane più impresso nella mente è “merda di cane”.
P: Ci piace, ci piace, soprattutto se l’interlocutore ha visto “quel qualcosa”, oppure, ancor di più, se con cognizione di causa ci viene data una visione da un punto di vista a noi inaccessibile. Tra i concerti che ricordo con più carica, metto quelli in Inghilterra, dove il pubblico è sempre super partecipativo, e poi ricordo con piacere la mezzoretta che abbiamo fatto a Roncade in apertura ai Verdena, perché non sapevamo cosa aspettarci dal loro pubblico di fan accaniti, dunque è stata una sorpresa “conquistarli” e avere una risposta così accesa. Oddio, a volte penso che potremmo lavorare al circo e la cosa mi fa sorridere…inizialmente.

A.B.

Foto: Fornita da Zeus

Facebook: Zeus

Jessica Cintola

Jessica ha creato Armada Note per tre motivi fondamentali: ha un legame ancestrale con la musica, le piace scrivere e in quel periodo (a marzo 2017, quando ha creato il tutto) era un po’ annoiata. Dice che le sue idee migliori sono sempre nate in periodi di tedio.

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