Dōna Flor

Artisti   Folk  15 Giugno 2020   Nessun commento Dōna Flor

5 musicisti e due coriste suonano e cantano raccontando un viaggio verso terre lontaneDōna Flor è musica di frontiera, un mosaico di colori, è musica dell’anima. Nel 2016 esce il primo disco, “Alma Desnuda“, con l’etichetta IRD. Un album ricco di esperienze, allegro, sensuale e dal sapore autentico.

  • Componenti: Cecilia Fumanelli (voce), Simone Riva (Chitarra), Max Confalonieri (Contrabbasso), Max Malavasi (Percussioni) / Ospiti: Guido Baldoni (fisarmonica), Roberto Carlotti (fisarmonica e bonzouki), Giulia Larghi (Violino) Cori: Valentina Brivio e Miriam Valvassori
  • Genere: World / Etnomusic / Freefolk
  • Anno di formazione: 2015
  • Ep/Dischi pubblicati: Alma Desnuda
  • Sito web: https://donaflormusic.com/

Ciao Cecilia, piacere di conoscerti. I Dōna Flor nascono da una tua idea quindi partiamo da te. Raccontaci un po’ chi sei e le radici della tua musica…

Grazie, è una bella domanda… Più che “cantante” mi piace molto la parola Cantadora, colei che canta storie di ogni tempo e luogo, storie dell’anima.
La musica mi ha accompagnato fin da bambina: ho avuto la grande fortuna di avere molti musicisti nella mia famiglia, sia da parte di padre che di madre e di crescere in un ambiente musicale molto stimolante. In casa mia si ascoltava di tutto, dalla musica barocca agli Inti Illimani, dai Chieftains a Laurie Anderson, dai Talking Heads alla musica del Mali, da Sheila Chandra alle Voix Bulgares. Mi sono sempre sentita un’adolescente un po’ atipica musicalmente, non avendo lo stesso background della maggior parte dei miei coetanei. Questo ambiente sonoro però mi ha portata ad appassionarmi sempre di più alle culture cosiddette “altre” rispetto a quella occidentale e ho seguito questa pista scegliendo poi di laurearmi in Etnomusicologia, con una tesi su come le influenze musicali tra culture possano modificare l’identità musicale e sociale degli attori in gioco.

Ho iniziato a cantare quando avevo 10 anni, fino ai 30, nell’ambito della musica corale a cappella, anche lì con un repertorio ampio e complesso, che andava dalle fughe di Bach al Jazz di Duke Ellington, con un grande maestro, Pasquale Amico. Questa esperienza per me è stata fondamentale sia dal punto di vista musicale che umano e sono molto grata di questo: mi ha insegnato a conoscere e cantare stili diversi, ma soprattutto a servire un progetto e a sentirmi parte di un tutto.

Negli anni, la spinta a esplorare la voce mi ha avvicinato all’ambito della ricerca teatrale (oltre al lavoro tecnico con insegnanti provenienti soprattutto dal mondo del jazz): ho frequentato per qualche tempo un’insegnante incredibile, Maud Robart (haitiana, collaboratrice del teatro di Jerzy Grotowsky), che usando canti “vibrazionali” della tradizione Voodoo, crea connessioni tra la cultura arcaica e la nostra occidentale con l’obiettivo di risvegliarsi al sentire autentico.
Credo che il repertorio di tradizione conservi qualcosa di archetipico che appartiene sempre alla collettività, e sia riconoscibile oltre i confini, le lingue e nonostante il passare delle generazioni. Mescolarlo con nuove idee o dargli nuove forme, è il punto a cui mi sento ora… e così nasce Dōna Flor.
Nella ricerca di musicisti che avessero voglia di intraprendere questo viaggio con me, ho incontrato persone speciali, che provenivano anche loro da diverse esperienze di generi e background (chi dalla musica etnica e folk, chi dal jazz, blues o dalla musica autorale e classica), ma tutti accomunati da un grande desiderio di conoscere ed esplorare queste sonorità mettendoci del proprio. La cosa che ci accomuna è quindi un panorama musicale ampio e una grande apertura e curiosità, che ci ha consentito di creare un’identità, fatta di dialogo tra voce, strumenti e pubblico, un colore riconoscibile in un percorso di ricerca di suoni, intenzioni, atmosfere e improvvisazioni.

C’è qualche legame tra l’omonimo romanzo dello scrittore braziliano Jorge Amado e il vostro gruppo?

Il nome Dōna Flor è arrivato come un lampo improvviso in una sera d’estate. E’ un romanzo che ho letto anni fa e mi è rimasto nel cuore, come molti altri della letteratura sudamericana che amo moltissimo e che raccontano storie di amore, erotismo, spiriti e follia: tutta la parte irrazionale dell’essere umano, ciò che è fuori dal nostro controllo, ma che è anche fonte di una grande libertà ed energia vitale. Dōna Flor è come un archetipo, una specie di alter ego che emerge nella musica, uno spirito che si manifesta e porta questa energia e questo viaggio nei suoi concerti.

5 anni di Dōna Flor. Qual è il primo ricordo che ti viene in mente e che porti nel cuore?

Questi 5 anni sono stati veramente ricchi di esperienze e tanta bellezza, ma chiacchierando abbiamo tutti condiviso che ce n’è uno in particolare che vogliamo raccontare: tre anni fa abbiamo fatto una tournée di 14 giorni a Torino, con una compagnia di circo di nostri amici, Circo Zoè, suonando nello spettacolo Born to Be Circus. Suonare insieme tutte le sere, a volte per due repliche giornaliere, e vivere a stretto contatto, ci ha aiutato a unirci di più e a crescere musicalmente. Suonare per gli spettacoli di circo, poi, è un’esperienza bellissima, in cui il dialogo tra acrobata e musicista amplifica e potenzia entrambe le arti.

Alma Desnuda mi suscita allegria, tradizione, introspezione e femminilità. Dimmi di più sul concept dell’album, cosa avete voluto raccontare?

Alma Desnuda è stato un disco istintuale, registrato tutto in presa diretta, un insieme di colori, forme, impressioni, e ispirazioni da cui il progetto Dōna Flor è nato. Ogni brano è una parte che racconta del viaggio di questo alter ego, delle contaminazioni e del calore sudamericani, ma anche di altre Terre e storie; di una certa visione inconsueta e sanguigna del femminile, con quella caratteristica di forza, colore e racconto, in cui il sogno contamina la visione della realtà. Alcuni dei pezzi di Alma Desnuda sono di Lhasa de Sela, che per noi è stata, ed è tuttora, una grande ispirazione e punto di partenza. Scomparsa prematuramente, ha lasciato un repertorio di canzoni straordinarie inedite e tradizionali, con cui sentiamo di avere una forte risonanza.
Lhasa faceva parte come me del mondo del circo e in qualche modo ho sentito delle connessioni significative con la sua vita, e di voler onorare il suo lavoro. Quel disco è stato come una genesi anche del progetto stesso: un’esperienza in cui abbiamo preso forma, e che abbiamo raccontato attraverso la musica.

Spazio Bizzarro, il coro delle Wild Flowers, Il Dedalo… un sacco di progetti davvero interessanti. Come sta andando il tutto e quali sono i lavori in corso?

Questo momento è molto delicato e difficile per chi come noi lavora in ambito artistico e sociale. Siamo un po’ in sospeso, e stiamo provando a capire quali passi possiamo fare per tornare a fare il nostro lavoro. Prima della quarantena si, c’erano un sacco di cose all’attivo! Spazio Bizzarro è uno spazio di circo in cui facciamo corsi, eventi, spettacoli, gite di scuole, laboratori.
Il Dedalo è nato l’anno scorso, come “spazio dell’anima”, per fare esperienze dallo yoga al canto, dalla meditazione all’arte. Lo spirito del Dedalo è quello di ospitare, integrare, creare connessioni tra le persone, stare insieme, raccontarsi delle storie davanti al fuoco e condividere momenti di bellezza, alchimia, trasformazione, stupore.
Wild Flowers è un coro femminile nato anch’esso l’anno scorso, composto da 25 donne belle e colorate come i fiori selvatici, forti e appassionate, che cantano polifonie tradizionali, curative, meditative da tutto il mondo: Sudamerica, India, est Europa, Mediterraneo, Africa, fino al Medio Oriente. In questo progetto c’è una sintesi della ricerca sul femminile, sulla coralità e sul repertorio di tradizione.

Ma la cosa più bella di questa quarantena è stato il lavoro di creazione e scrittura di brani inediti che abbiamo fatto insieme come Dōna Flor, in attesa di poter registrare il nostro secondo disco, appena potremo, nei prossimi mesi. Un’esplorazione di suoni, una sintesi delle nostre esperienze fatte fino a qui, una ricerca sempre in atto, di identità, stimoli e significati musicali, tra la tradizione, l’arcaico, il presente e soprattuto il potere alchemico della musica.

Grazie Dōna Flor per averci fatto viaggiare in terre lontane durante l’immobilismo imposto dalla pandemia.

 

 

 

Jessica Cintola

Jessica ha creato Armada Note per tre motivi fondamentali: ha un legame ancestrale con la musica, le piace scrivere e in quel periodo (a marzo 2017, quando ha creato il tutto) era un po’ annoiata. Dice che le sue idee migliori sono sempre nate in periodi di tedio.

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